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Archivi Categoria: La nostra terra

01/02

La neve che ovatta e che ci cambia

Del gennaio che ci siamo appena lasciati alle spalle rimarranno le immagini degli enormi disagi provocati dalle nevicate e la paura per un mercoledì di nuove scosse. Situazioni che hanno sfiancato, oltre ai cittadini, l’intero sistema di emergenza a partire dagli amministratori locali. Poi, quando un’apparente quiete è tornata a manifestarsi, si è cercato di riappropriarsi di una quotidianità  fatta di lavoro e di passioni.

Nicola Pezzotta e Stefano Properzi, al loro incondizionato amore per la montagna diversi anni fa hanno trovato una casa. Per la precisione un blog, coninfacciaunpodisole.it, nel quale insieme ad altre amiche e amici raccontano le Marche camminando. E da poco più di due anni hanno iniziato ad organizzare passeggiate, anche durante il periodo invernale. Perché proprio l’area dei Sibillini, così duramente provata, riesce a regalare esperienze indelebili, con paesaggi che grazie alla neve cambiano continuamente.

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All’inizio Nicola preferiva un meritato “letargo”, per ripartire a marzo. Ma la montagna, quando è dentro di te, arriva a mancarti. Così, con l’attrezzatura giusta lentamente si è reso conto di come determinati scorci siano impagabili. “La bellezza della neve che ovatta tutto e cambia tutto – ci racconta -, che addolcisce il paesaggio e lo trasforma. I boschi, dove la neve è sempre fresca e camminare è a dir poco entusiasmante. Fino ad alcuni punti ricoperti dal ghiaccio: immagini magnifiche, uniche, che ti cambiano la prospettiva”.

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Ai piedi quelle ciaspole che danno quasi un senso di libertà, nonostante la fatica sia duplice rispetto alle situazioni senza neve.

Come attrezzatura consiglia sempre scarponi impermeabili e ghette da aggiungere sopra i pantaloni, per non bagnarsi fino al ginocchio. Sopra sempre meglio vestirsi a cipolla, con una giacca a vento invernale o un antivento, meglio se anche antipioggia. Perché in quota d’inverno con temperature rigide e vento, la tempetura percepita si abbassa ancora di più. E non dimenticare mai guanti, cuffia e occhiali da sole per proteggersi da una luce molto intensa. Non dimentica, Nicola, quel sopralluogo a Castelluccio, all’inizio del 2016, con un temperatura che raggiunse i meno 20 gradi mentre sul piano, dove le condizioni sono diverse rispetto alla quota, si arrivò a toccare il record storico di meno 35.

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Quando alle bevande, “portarsi sempre un qualcosa di caldo, tipo un thermos di caffè bollente che aiuta a riprendersi”. Consigli che gira, settimanalmente, alle decine di persone che partecipano alle uscite organizzate insieme a Stefano. Tranne che sul cibo (“Non sono la persona migliore per un consiglio perché sono affezionatissimo ai miei panini”), la meticolosità è una delle sue caratteristiche più evidenti. Come per il monitoraggio delle aree in concomitanza di eventi sismici. “Dopo le scosse con Stefano cerchiamo di studiare per capire dove si può andare in sicurezza e dove no. Abbiamo completamente escluso le gole, dove d’inverno si aggiunge anche il rischio valanghe, poi andiamo a cercare zone dove non c’è troppa pendenza e dove i movimenti della neve sono quasi nulli. Inoltre, guardiamo sempre le strade se sono aperte o meno. Pensiamo a quella chiusa che collega Visso ad Ussita: lì in alto ci sono zone tranquille ma non c’è modo di arrivarci, quindi rinunciamo e optiamo per altri punti dell’area”.

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Perché è sempre meglio ascoltare, dice, quella percezione di quando è il momento giusto e quando non lo è affatto, pur con la consapevolezza che le persone hanno desiderio e bisogno di andare lì, di divagarsi, ma anche di incontrare chi è stato colpito dal terremoto. Camminando – e la storia recente di Nicola lo insegna – si cambia e si arriva a guardare tutto in maniera diversa, più vera. E senza preclusioni. Basta lasciare andare le proprie ciaspole.

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I PROSSIMI APPUNTAMENTI NELLE MARCHE

- sabato 4 febbraio: Sibillini al tramonto, ciaspolata sui Piani di Ragnolo

- domenica 12 febbraio: Sibillini, ciaspolata al Santuario di Macereto

 ANDREA BRACONI

28/12

DI GUSTO, DI CULTURA, DI SPERANZA: LE FESTIVITA’ (SENZA PAURA) NEI BORGHI DEL MACERATESE

L’anno sta per chiudersi, ma c’è ancora tempo per catturare istantanee ed emozioni. E lo facciamo tornando in quei Comuni maggiormente colpiti dal terremoto, per condividere la reale sensazione che quell’assordante silenzio piombato dopo le scosse del 26 e 30 ottobre sta lasciando spazio a un crogiolo di voci e rumori che, lentamente, riconsegnano alla quotidianità i suoi elementi essenziali.

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Un ritmo cadenzato dai primi passi di una ricostruzione che vedrà la luce soltanto con l’arrivo della primavera, ma che intanto prova a rimettere al centro un tema cruciale: questa porzione di Marche non ha alcuna intenzione di smettere di respirare, fedelmente abbracciata alle sue montagne cariche di suggestioni.

Ecco allora che nasce spontaneo il desiderio di raccontare come – anche durante le feste natalizie – sia possibile raggiungere questi luoghi ed ammirarne l’incanto. Sì, perché possiamo ancora decidere di visitare il Maceratese, muovendoci tra Belforte del Chienti, Caldarola Cessapalombo, Caporotondo di Fiastrone e Serrapetrona. Con tutte le precauzioni del caso, sia chiaro, e consultando le informazioni sui tratti dalla viabilità compromessa e sulle zone rosse da evitare. Ma vivere questi borghi si può. Anzi si deve.

Proviamoci. Potremmo partire proprio dal centro storico di Belforte del Chienti, ammirando il Polittico di Giovanni Boccati nella Chiesa di Sant’Eustachio. Scendendo, raggiungeremmo la Chiesa sconsacrata di San Sebastiano, pronta a rivelarci i suoi affreschi trecenteschi, ed il MIDAC, il Museo Internazionale Dinamico di Arte Contemporanea. E non potremmo certo tirar dritto davanti a Palazzo Bonfranceschi, dimora storica riconvertita in bed&breakfast che, al momento, ospita alcuni cittadini rimasti senza abitazione a causa del sisma.

E qualora l’appetito diventasse ingestibile, potremmo subito placarlo nell’azienda Di Pietrantonio con il suo tripudio di formaggi e qualche richiamo al sapore della tipica coppa marchigiana.

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Processed with VSCO with f2 presetSoddisfatto il palato, perché non spostarsi a Serrapetrona, in un percorso tra arte e gusto? Prima la Chiesa di San Francesco con il Polittico di Lorenzo d’Alessandro e di seguito Palazzo Claudi, a scoprire lo scheletro di un Prosaurolophus (sì, un dinosauro “misteriosamente” transitato dagli States ai Sibillini) e la singolare storia della famiglia Claudi, legata ad una serie di invenzioni; proseguendo, non potrà mancare la degustazione della Vernaccia di Lanfranco Quacquarini, storico produttore legato ad una tradizione che sa anche interpretare il gusto contemporaneo.

Caldarola è il Comune con le ferite più evidenti, ma la frazione di Pievefavera sarebbe uno di quegli angoli capaci di rubare il cuore, con quel suo castello del XIII secolo (purtroppo ammirabile solo dall’esterno), un centro storico che sembra aver retto al colpo ed un panorama verso i riflessi del lago di Caccamo.

Chilometro dopo chilometro, curva dopo curva, si potrebbe salire verso Contrada Castello di Cessapalombo per raggiungere l’azienda agricola Maurizi Luigino e perdersi tra i sapori delle confetture e poi i legumi, i salumi e le carni… concedendosi qualche minuto in più per comprendere ogni stilla di fatica racchiusa dentro un pistillo di zafferano.

Processed with VSCO with f2 presetSulla via del ritorno, sempre piena di tentazioni, l’istinto suggerirebbe di imboccare una stradina dalle parti di Contrada Colvenale di Camporotondo, che porta dritta dritta all’agriturismo biologico “Al respiro del bosco”, un’eccellenza creata da una famiglia veneta che, come molte altre, ha scelto la nostra regione per ricominciare.

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Processed with VSCO with f2 presetEcco, ricominciare: il verbo perfetto per ispirare e far viaggiare la curiosità verso questi magnifici “contenitori” di arte, storia e gusto. Luoghi dove al futuro gli abitanti cominciano a dare del tu. 

(Un ringraziamento a Erika Carassai e Ciro Gentile, che si sono prodigati nell’organizzazione del media tour #5BORGHIDASCOPRIRE, svoltosi lo scorso 10 dicembre in questi Comuni. E un grazie anche ai bloggers e agli instagramers che hanno contribuito a riaccendere una luce dopo la paura. In particolare, Chiara Palmieri e Vissia Lucarelli per aver concesso alcune immagini dei luoghi visitati)

Testo e foto di Andrea Braconi

12/12

IO RESTO QUI, A PARLARE CON I MIEI SIBILLINI

Nelle scorse settimane siamo partiti dalla nostra azienda di Monte San Giusto per raggiungere la tenuta di Marco Scolastici. Facciamo parte di quel gruppo di persone che grazie al passaparola sono venute a conoscenza della sua realtà. Cosi abbiamo pensato di mandare il nostro Andrea Braconi per condividere con tutti voi una meravigliosa storia dalla nostra terra

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Aveva 3 anni e girava già da solo a cavallo, guardando la parete rocciosa del Monte Bove accanto a quell’albero al quale, oggi, appende cerchi in legno rivestiti di rosso. Cerchi sui quali Marco Scolastici, 28 anni, invita amici e clienti a lasciare una frase, un pensiero o un augurio per un Natale particolare, segnato dalle continue scosse di terremoto che non accennano ad esaurirsi. E proprio qui, a 1.000 metri di altezza e con il Santuario di Macereto che si staglia poco più avanti, la terra sembra urlare più forte, in quell’area di epicentri tra Ussita, Visso, Fiordimonte e Pieve Torina.

La casa è inagibile e il laboratorio di produzione di formaggi ha subito danni. Sul volto e su quello della sua compagna Lucia è impressa tutta la stanchezza accumulata. “Adesso dormiamo in ufficio, ma ci siamo spostati dalla tenda all’auto in base alla temperatura esterna”, spiega senza però spegnere il sorriso.

Cercano di reagire “nel miglior modo possibile”, loro che rispetto ad altri sono stati fortunati, ma che devono necessariamente fare dei lavori per poter proseguire regolarmente l’attività. “L’idea è quella di continuare a produrre come prima, anzi, di metterci qualcosa in più. A causa del terremoto abbiamo perso circa il 90% dei vecchi clienti della zona, compresa la vendita diretta e dobbiamo perciò riorganizzarci sulla commercializzazione”.

Processed with VSCO with f2 presetProcessed with VSCO with f2 presetProcessed with VSCO with f2 presetMentre Marco racconta del lento ritorno dei clienti più affezionati, il punto vendita continua ad accogliere persone che, grazie alla rete e ad un incessante passaparola, sono venute a conoscenza della sua azienda. E che salgono qui, anche più volte nell’arco di pochi giorni, per acquistare un primo sale, ricotte salate, pecorini semi stagionati o stagionati (“anche nel fieno”), quelli affinati in grotta piuttosto che barricati al Merlot. E poi gli aromatizzati: finocchietto, peperoncino, limone, timo serpillo ed elicriso.

Perché fare formaggi, per Marco, significa soprattutto sperimentare. L’azienda creata nel 1995 dal padre, diventata biologica dal 2000 e da lui gestita a partire dal 2008 una volta terminati gli studi, era partita da una produzione di pecorino classico con diversi step di stagionatura. Oggi sono circa 20 le tipologie di prodotti, legati alla stagionalità delle erbe aromatiche raccolte negli oltre 400 ettari di proprietà.

Processed with VSCO with f2 preset“La nostra produzione dipende tanto dalla stagione e dagli animali, lavoriamo solo latte aziendale e curiamo tutto, dalla semina dei prati ai cereali che mangiano le pecore”. Una filiera chiusa, con un’appendice a Tarquinia, nel Lazio, dove i suoi nonni si stabilirono dopo anni di transumanza.

Marco è orgoglioso delle proprie radici, del lavoro che ha scelto e, nonostante la paura, da qui non ha alcuna intenzione di spostarsi. “Quattro anni fa abbiamo scoperto una grotta di stagionatura sotto l’abitazione, subito dopo siamo entrati nel presidio Slow Food con il pecorino dei Monti Sibillini: la mia vita è questa, tra gli animali e con una tale meraviglia davanti agli occhi”.

Processed with VSCO with f2 presetProcessed with VSCO with f2 presetProcessed with VSCO with f2 presetSembra quasi parlare con i Sibillini, mentre ricorda la produzione di un formaggio al tartufo e la novità del latte di asina con la sua lunga gestazione. Dialoga, Marco, con quelle montagne che i media descrivono con inquietudine. Ma chi, come lui, ha il privilegio di viverle ogni giorno, non può che riconoscerne l’incanto. Da appoggiare ad un ramo di un albero, per un Natale che ognuno di noi si porterà dentro.

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Testo e foto di Andrea Braconi

05/12

UNA TERRA NELLA TASCA DI MARIO

Le aveva scelte come casa, anche se poi la sua casa è sempre stato il mondo. E le aveva raccontate. Con la voce e con quella macchina fotografica che accarezzava.

Le Marche di Mario Dondero, figura storica del fotogiornalismo italiano, scomparso nel dicembre dello scorso anno, sono sempre state una mescolanza di volti e di paesaggi, vissuti con l’animo prima che con gli occhi. Di questa regione così fluttuante, la città di Fermo era per lui il centro. Tutto partiva da Vicolo Zara, da quelle pareti così contenute e da una porta dove amici ed amiche – anzi “compagne e compagni” – si affacciavano per riabbracciarlo o anche soltanto per capire dove fosse scomparso nei giorni precedenti, con chi e a fare cosa.

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Mario Dondero 06In quella abitazione l’ho trovato più volte a rimettere in ordine diverse centinaia di scatti. Era lì, insieme a Pacifico, Andrea e Diego, più che fotografi paladini di un’infinita memoria – quella degli incontri di Dondero – che doveva essere conservata, anche sacrificando il proprio tempo. Ogni diapositiva veniva catalogata, mentre Mario ne narrava la genesi. E ogni traccia scivolava virtualmente in quell’archivio che oggi è patrimonio di una collettività diffusa, ospitato ad Altidona in uno stabile di proprietà comunale dove prima c’erano una scuola materna e la vecchia abitazione del medico condotto.

Un borgo, Altidona, dove i passi di Mario sono stati forse più marcati. Non solo per le affinità con un gruppo che sapeva ascoltarlo ma anche redarguirlo per il suo disinteresse per una salute che iniziava a scemare. Dalle mura cittadine, infatti, si affacciava spesso per confidarsi con crinali di una lucentezza unica. Oppure sceglieva di fermarsi da Annamaria per un brindisi, mentre lei sfornava l’ennesima pizza. E poi le abitazioni immerse nella campagna, dove decenni di esperienze e scelte si sedevano a tavola. In quei momenti, mentre l’odore degli asparagi e dei funghi raccolti ascoltando il respiro dei Sibillini iniziava a salire, si progettavano mostre, si ipotizzavano viaggi ma, soprattutto, si parlava di questa terra. Così intensamente viva, dalle piazze e dai cortili di Ascoli Piceno agli uliveti di Cartoceto, passando per quel porto o per quella fermata del bus che, da Ancona piuttosto che da Porto San Giorgio, lo avevano spinto tante volte altrove. Sempre con un pezzetto di noi nella tasca. Sempre pronto ad invitare qualcuno per assaporare una storia che era anche sua. Prima di ritornare, Mario, ad incantarci con altri racconti di un mondo che non poteva che fermarsi qui.

Testo e foto di Andrea Braconi

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