Le aveva scelte come casa, anche se poi la sua casa è sempre stato il mondo. E le aveva raccontate. Con la voce e con quella macchina fotografica che accarezzava.

Le Marche di Mario Dondero, figura storica del fotogiornalismo italiano, scomparso nel dicembre dello scorso anno, sono sempre state una mescolanza di volti e di paesaggi, vissuti con l’animo prima che con gli occhi. Di questa regione così fluttuante, la città di Fermo era per lui il centro. Tutto partiva da Vicolo Zara, da quelle pareti così contenute e da una porta dove amici ed amiche – anzi “compagne e compagni” – si affacciavano per riabbracciarlo o anche soltanto per capire dove fosse scomparso nei giorni precedenti, con chi e a fare cosa.

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Mario Dondero 06In quella abitazione l’ho trovato più volte a rimettere in ordine diverse centinaia di scatti. Era lì, insieme a Pacifico, Andrea e Diego, più che fotografi paladini di un’infinita memoria – quella degli incontri di Dondero – che doveva essere conservata, anche sacrificando il proprio tempo. Ogni diapositiva veniva catalogata, mentre Mario ne narrava la genesi. E ogni traccia scivolava virtualmente in quell’archivio che oggi è patrimonio di una collettività diffusa, ospitato ad Altidona in uno stabile di proprietà comunale dove prima c’erano una scuola materna e la vecchia abitazione del medico condotto.

Un borgo, Altidona, dove i passi di Mario sono stati forse più marcati. Non solo per le affinità con un gruppo che sapeva ascoltarlo ma anche redarguirlo per il suo disinteresse per una salute che iniziava a scemare. Dalle mura cittadine, infatti, si affacciava spesso per confidarsi con crinali di una lucentezza unica. Oppure sceglieva di fermarsi da Annamaria per un brindisi, mentre lei sfornava l’ennesima pizza. E poi le abitazioni immerse nella campagna, dove decenni di esperienze e scelte si sedevano a tavola. In quei momenti, mentre l’odore degli asparagi e dei funghi raccolti ascoltando il respiro dei Sibillini iniziava a salire, si progettavano mostre, si ipotizzavano viaggi ma, soprattutto, si parlava di questa terra. Così intensamente viva, dalle piazze e dai cortili di Ascoli Piceno agli uliveti di Cartoceto, passando per quel porto o per quella fermata del bus che, da Ancona piuttosto che da Porto San Giorgio, lo avevano spinto tante volte altrove. Sempre con un pezzetto di noi nella tasca. Sempre pronto ad invitare qualcuno per assaporare una storia che era anche sua. Prima di ritornare, Mario, ad incantarci con altri racconti di un mondo che non poteva che fermarsi qui.

Testo e foto di Andrea Braconi