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Friday, 30 June 2017 15:53

THE FABI ESSENCES DIARIES – #68

“Ma sognare è un fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità.”

29 Giugno 2017, un Giovedì di nuvole

Suite #68 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Se mi chiedessero il profumo della passione non avrei esitazioni: la pura, infinita dolcezza dei frutti tropicali.
Il sapore intenso della polpa della maracuja.
Come faccio ad esserne così certo?
Beh, cari amici, quando fate un lavoro come il mio, le passioni s’imparano a riconoscere nell’aria, come invisibili ali d’angelo.
Tutte diverse, eppure tutte accarezzate dalla Grazia.
E io me le ricordo tutte. Nessuna esclusa.

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È facile riconoscerle.
Si sprigionano quando i corpi, i cuori che le generano sono finalmente lasciati liberi di esprimersi, di essere se stessi.
Come tra i corridoi fatati dell’Hotel Me Il Duca Milano dove mi trovo in questi giorni, ed i cui illustri ospiti sono spogli di quelle corazze obbligate dall’esterno ostile.
In questi ambienti così intimi, sofisticati, eleganti è impossibile incontrare ospiti molesti.

È tra queste atmosfere che ci si può lasciar andare, svelando un’essenza negata al pubblico avido là fuori.
Ed io, acuto osservatore della variegata natura umana, non aspetto altro, facendomi trovare casualmente puntuale nei salotti dell’hotel.
Mi ci tuffo, in quelle improvvise confessioni involontarie. Per capire caratteri, comprendere intelligenze, svelare bluff sbruffoni.
Per poi narrarli, ça va sans dire[strizzatina d'occhio]

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Non vi svelerò il mio nome completo, ma diciamo che tutti mi chiamano Gianni Brera. Non Quel Gianni, ma non del tutto differente.
Sono un orgoglioso figlio del Po, delle rive padane e delle sue terre, dei suoi boschi. E sono un giornalista, forse uno scrittore.
Oppure, come diceva un’amica poco tempo fa, sono un semplice cantastorie: di speranze, sogni e delusioni.
Le stesse che proprio in questi momenti mi stanno torturando.
Qui, nella numero 68, stanza divina e solitaria, davanti all’amata ed inseparabile ”Lettera 62″, la mia piccola macchina da scrivere rosso fuoco.

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Fatico – inusuale per me – a battere i tasti con gran ritmo. L’intento, forse troppo ambizioso, mi sta lentamente abbattendo.
Raccontare le storie di sport, passioni, aspirazioni e cadute più affascinanti e misteriose che abbia mai incrociato tra queste mura.
Un’impresa titanica, e un’ispirazione sempre più lieve.

Ho deciso, meglio prender una boccata d’aria, chissà che questa Milano stranamente quieta non mi tenda una mano.

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Salgo sull’ascensore, facendomi trascinare fino al decimo piano e al Radio Rooftop Milan. Le energie completamente risucchiate dal tentativo di scrivere qualcosa di decente.
La vista da quell’altezza e da quella posizione sono paradisiache, anche a notte inoltrata.
Tra me e me penso che se esistesse un posto dove ritrovare l’ispirazione perduta, sarebbe questo.

Osservo la mia città dall’alto. Ripercorro con il pensiero e i miei sogni ad occhi aperti i posti e le persone. I ricordi più memorabili, gli incontri indimenticabili.
Sono solo sulla terrazza, i gomiti appoggiati al bordo.
I rumori del traffico mi arrivano come da un’altra galassia, o come diceva il grande Carlo “il flusso continuo dei taxi, sul viale maggiore, pareva la vana furia degli uomini, che ad ogni costo volesse arrivare a una fine.”

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Il silenzio mi circonda, provando a cullarmi in sintonia con la colonna sonora scelta dal dj: sequenze lunghe, instrumental, dai suoni naturali.
Una lieve brezza trasporta il mio flusso di coscienza tra i grattacieli di Gae Aulenti e i tetti dei Navigli, facendomi ripercorrere locali celebri e bisbiglii che molti avrebbero pagato oro per udirli. Portandomi nelle piccole vie davanti all’Arco della Pace, dove si programmava la conquista del (proprio) mondo.
Lì, osservati a vista dalle “Quattro Vittorie a cavallo” sulla cima trionfale del monumento, ci si sentiva allo stesso tempo minuscoli e giganteschi.
Pronti per la Gloria eterna o inadeguati, incapaci di afferrarla.

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D’un tratto sento toccarmi la spalla.
La prima cosa che il mio sguardo incontra è uno splendido calice. Un cocktail sfumato in giallo. Un piccolo fiore nel mezzo. Delle alghe marine da contorno.
Marco Dognini, il bartender del Radio Rooftop Milan, mi dice che era da tempo che mi stava osservando.
Afferma che il cocktail #68 è quello che fa per me.
Affabile ma sicuro di sé, con un look curato dalla punta delle scarpe in pelle alla camicia, Marco ispira fiducia.
La serata giusta per incontrare un tipo così.

Mi apro, senza filtri, raccontando del mio blocco.
Bevo, fondendo i miei problemi in quei sapori esotici e in quel retrogusto particolare, di zafferano e mirto sardo.
Il rum mi riscalda la testa, mentre il dialogo sale di tono.
Marco mi inonda di aneddoti, personaggi, scene vissute da testimone oculare. Invisibile ed imparziale, da dietro quel bancone.

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Parliamo per ore, e mi sento come rinascere, tornando a respirare dopo essere stato per un tempo indefinito in apnea.
Le sue storie iniziano a diventare mie: vittorie ed insuccessi, amicizie e confidenze.
Calciatori famosi, artisti, cantanti, soubrette dell’ultima ora. Fallimenti, aspettative, percorsi.
Tutto alla velocità della luce, re e regine del carpe diem, dell’istante più infuocato dei tanti vissuti dal Radio Rooftop Milan.

Ringrazio Marco, sembra sfinito pure lui. Ci congediamo con un abbraccio prolungato.

Torno solo, ma le idee hanno ripreso a scorrere: ora so da dove ripartire, che cosa seguire.
Sì, è tornato a farsi sentire. Vivace, pungente, inebriante.
Il profumo della passione.
Una notte come un’altra, al Me Il Duca Milano.
Ma potrebbe essere stata quella decisiva.

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“Fabi Essence #68 – HOPES AND DREAMS” narrated by Michele Pettene

Quotes from Carlo Emilio Gadda

 

Thursday, 22 June 2017 11:19

The Fabi Essences Diaries – #73

“Un tempo, quando uno aveva un segreto da nascondere, andava in un bosco. Faceva un buco in un tronco e sussurrava lì il suo segreto. Poi richiudeva il buco con del fango, così il segreto sarebbe rimasto sigillato per l’eternità”

21 Giugno 2017, un Mercoledì sera 

Suite #73 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Uhmmm…Profumo di Gelsomino?
Lo avverto nitidamente, ma non ne capisco l’origine.
Chiudo gli occhi, gli altri sensi diventano più acuti.
Ma è un errore, perchè mi viene subito in mente Lei.

“I ricordi sono sempre bagnati di lacrime” diceva il mio amico Tony. Aveva ragione.

Li riapro. Sono ancora vivo, in piedi.
Esco e seguo la scia del profumo, sembra essersi fuso con quello di una rosa. Ma sta svanendo.
Per strada, sui marciapiedi, lo perdo completamente e la sensazione di smarrimento mi risveglia.

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Vogliate scusarmi, ancora non mi sono presentato: Filippo Tommaso Marinetti, non quel Marinetti ma quasi. Il piacere è tutto mio.
Con Milano ho un rapporto particolare, d’amore e repulsione, ma oggi gli astri mi sono favorevoli.
Complice il tramonto, suppongo.
Alzo gli occhi verso la skyline di Porta Nuova: ai miei compari del Manifesto futurista sarebbe piaciuta molto questa città nel 2017.
Siamo pur sempre gli stessi che hanno affermato orgogliosi “Un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia!”

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Ancora quel profumo. Mi immergo nel quartiere Isola per togliermelo di testa, e per un po’ il tentativo riesce.
Amo alla follia questa zona, le vibrazioni che trasmette.
D’inverno il Blue Note poco distante è il classico luogo senza tempo dove m’immergo scomparendo dal Presente, rigenerandomi nelle improvvisazioni dei quartetti jazz.
D’estate Via Borsieri e le altre stradine s’infiammano, come una Siviglia settembrina, tra locali con musica dal vivo che ti stravolge il ritmo dei passi e giovani di mezz’Europa uniti dall’affetto per la vita, il dialogo, la condivisione di pensieri e passioni.
Era da queste parti che l’avevo conosciuta, non troppo distante dal Deus Café.
Le mie gambe mi hanno ricondotto esattamente allo stesso angolo di strada.

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Lei non  c’è, ma ne avverto la presenza quando una folata di vento caldo – che si è fatto strada tra quella meraviglie architettoniche chiamate Bosco Verticale - mi riporta sotto le narici gli odori che mi avevano catturato. Proprio me, animale indomabile abituato ad una vita da seduttore, il re delle avventure di una notte.
Avevo imparato ad apprezzare il valore delle cose effimere come mi aveva insegnato il mio mentore Wong Kar Wai, e poi le avevo dimenticate solo per poterLe piacere.
Mi giro, vagabondo a vuoto. Quell’aroma agrumato, arance, limoni, felicità, pompelmo…ah, come ritrovarlo?
“Seguimi, ti aiuto io.”
Mi sento stringere la mano destra, ma la luce degli ultimi raggi solari filtrati dalla guglia del grattacielo Unicredit mi scherma la vista.
So che è Lei, ma non la posso riconoscere.

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Camminiamo, corriamo anzi, fino a Via Marco Polo, davanti a quella maestosa opera d’arte d’altri tempi del Mastro Architetto Aldo Rossi, un buon amico dalla mente geniale: ancora l’Hotel ME Milan Il Duca. La mia lingua è bloccata, non pronuncia parole. Ma sento il cuore palpitare forte in gola.
Continuo a seguirLa, fidandomi.
Saliamo, dall’ingresso privato del Radio Rooftop Milan, al decimo piano.
Ancora non capisco, sono disarmato, io il difensore supremo dell’atteggiamento aggressivo, della bellezza della velocità.
Mi fa sedere sulla terrazza, dice che si assenterà. Poi, come la peonia si tende verso il cielo, si alza e si allontana senza dare risposta.
Per un attimo riesco a perdermi nel sublime paesaggio milanese, mentre una figura elegante, dietro al bancone della lounge, parla con Lei.
Lui, il famigerato bartender del Radio Rooftop Milan Marco Dognini, Lei. Ed Io.
Parlottano concentrati, Marco ha annuito e con movimenti decisi ma delicati si è messo all’opera, impeccabile in quel suo stile raffinato ma misurato, libero.
Mi volto verso Porta Nuova, attendo qualcosa che non so. Attorno a me tutti sembrano ignari della mia tempesta interiore, si godono il momento, la vista, la compagnia, il luogo. Una pace che fatico a trovare.

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Quando mi rigiro Lei è, seduta di fronte a me.
Mi porge un cocktail di Marco, mentre lei solleva il suo. Il “Numero 73″.
Brindiamo, senza dire una parola, senza dire a chi o a cosa.
La guardo negli occhi, è rilassata, sorridente.
Quando si sistema i capelli dietro le spalle, spostando un’invisibile frammento d’aria, il suo profumo torna ad avvolgermi completamente, come la prima volta.
Ancora quella rosa, il ribes, la sensazione agrodolce.
In lontananza scorgo Marco, incrocio il suo sguardo.
Sorseggio il bicchiere, i sapori del suo capolavoro liquido ripercorrono la strada delle mie emozioni, fondendosi con il Suo profumo.
Poso il cocktail.
Finché non si rinuncia si può sempre sperare.

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“Fabi Essence #73 – EVER AND ALWAYS” narrated by Michele Pettene

Quotes from “2046″ by Wong Kar Wai

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