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Monday, 03 December 2018 00:02

SNEAKERS JESSE, HEROES FROM THE PAST #3: PRIMO CARNERA

Primo Carnera, il più grande pugile italiano

Carnera era un mito annebbiato, eco lontana dell’età del jazz e del Charleston.
[Nantas Salvalaggio]

Dicono che l’odore del ring sia un qualcosa di unico.
Qualsiasi ring.
Ogni quadrato ha migliaia di storie da raccontare, intrise su quel tappeto, su quelle corde.
Sudore. Sangue. Polvere. Gomma. Pelle.
L’essenza, il Dna di ogni combattente salito su uno di quei quadrati isolati dal resto dell’universo da tre sole corde per lato, intrappolato per sempre su quel ring.

Poche storie però possono resistere al confronto con quella di Primo Carnera, il più grande pugile italiano di sempre, il “Gigante Buono”, la “Montagna che cammina” e chi più ne ha ne metta.
Avesse l’Italia ereditato almeno un’oncia della cultura e della passione sportiva statunitense, Carnera sarebbe ancora oggi uno dei più celebrati eroi del nostro sport.
Nulla di meno: chiunque conosca le sue vicende vi direbbe che trattasi di storia da film, punto.
Un classico hollywoodiano: inferno, paradiso, malattia, addio.

Volendo iniziare dalle origini, nessuno tra l’anno di nascita, il 1906, e quello del primo combattimento, intorno al 1926, avrebbe mai scommesso una lira bucata a favore di Primo.
Nato poverissimo in provincia di Pordenone, costretto dalla Prima Guerra Mondiale e le condizioni disgraziate della propria famiglia a contribuire sin dai dodici anni alle finanze di casa, a 14 era già in Francia, dagli zii vicino a Le Mans.
Una soluzione disperata, guidata da bisogni essenziali come mangiare e sopravvivere.
Prima come carpentiere, poi come attrazione circense, Primo Carnera pareva un colosso ingenuo di quasi due metri per 130 chili, inutile e sfruttato da chiunque manco fosse uscito da “La Strada” di Fellini, sosia di Anthony Quinn e del suo Zampanò.

Ma proprio il circo, per vie traverse, gli salvò la vita: ingaggiato naturalmente come “il lottatore friulano” imbattibile, venne avvistato durante uno dei tanti, facili knock out della sua vita sotto il tendone dall’ex campione dei pesi massimi Paul Journee.
Qualche parola per convincerlo, l’accordo sul part time col circo per continuare a guadagnarsi da vivere ed ecco finalmente Primo porre l’ideale scarpa Fabi “Jesse James” sul ring del pugilato, l’unico ambiente naturale.

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Il resto, direbbero quelli bravi, è storia. Il primo knock out ufficiale, il 12 Settembre 1928.
Le ingerenze più che puntuali della mafia italica e i conseguenti match truccati.
L’ascesa poderosa di uno dei ganci destri più pesanti di sempre, seppur non ancora contornati da un’altrettanto buona tecnica.
Il rientro col passaporto francese nell’Italia che così poco gli aveva dato prima dell’arrivederci.
E poi il trasferimento nel 1929 negli Stati Uniti, l’ultimo giorno dell’anno.

La cosa per Carnera si fece sempre più intensa, seguita, globale, seppur qualche dubbio sulla regolarità dei combattimenti persistesse.
I successi diventavano sempre più fragorosi e seguiti, così come la sfida verso il titolo mondiale.
Prima però un altro dramma avrebbe portato il “Gigante Buono” sull’orlo del ritiro: pronto a sfidare il detentore del titolo Jack Sharkey, era prima necessario mandare al tappeto Ernie Schaaf, vecchio sfidante di Sharkey con problemi non registrati al cervello.
La potenza di fuoco di Carnera, ad un passo dal match per il titolo, si scatenò sull’avversario: sarebbe morto 4 giorni più tardi, facendo meditare all’inconsolabile Primo l’addio sportivo.

Ripresosi dallo shock, finalmente il 29 Giugno 1933, in piena Depressione, a New York “la Montagna che cammina” si issò con prepotenza sul trono mondiale del pugilato, con un KO memorabile ai danni di Sharkey.
Primo italiano di sempre a diventare campione del mondo, oltre a film e brand pubblicitari venne suo malgrado utilizzato anche dalla stampa fascista come simbolo imperituro e invincibile del vigore italiano.
Ma per molti, forse per tutti, le sue gesta sarebbero state legate semplicemente a un faccione dal volto buono e un nome che, allora così come oggi, continua ad essere sufficiente per rievocare un’intera epoca, quella dei più Grandi, e di un italiano sopra a tutti: Primo.

Tuesday, 09 January 2018 09:00

LE NUOVE SNEAKERS “JESSE” A PITTI UOMO FIRENZE



Uno scatto. Un salto. Un allungo. Un sorriso. Untitled2

Alle Olimpiadi del 1936, in soli sei giorni, Jesse Owens riscrisse la Storia dello Sport entrando nella leggenda.
A Berlino, davanti ad Adolf Hitler.

Un’impresa incredibile, con un comune filo conduttore: dei piedi fatati, veloci come Mercurio, il messaggero degli dei.

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Da questi guizzi vincenti, dalla terra della pista olimpica graffiata dai balzi leggiadri e dal sacro furore di Owens, è scaturita la scintilla di Fabi Shoes, l’omaggio devoto e dovuto a quel piede mitologico.

Le nuove sneakers “Jesse” sono il risultato ultimo e fiore all’occhiello di un progetto nato tre anni fa, e Pitti Immagine Uomo 2018 il punto di partenza ideale per presentarle.L’estetica e i colori – sia in pelle che in camoscio – rimandano a quei ricordi polverosi e memorabili: un classico sportivo di lusso con tutte le qualità di grande pregio delle Flex Goodyear, reso possibile grazie alla lavorazione brevettata dei 102 passaggi.

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Delle sneakers comode, semplici come le umili origini di Jesse Owens da cui hanno preso in prestito il nome, ma eleganti come la corsa eterea del nativo dell’Alabama.

Un legame con l’atleta afroamericano che s’intreccia nel profondo delle cuciture e dei pellami, robusti e morbidi in quanto indispensabili per la costruzione reverse, un’antica lavorazione adottata per non mostrare la cucitura esterna e per rendere la calzatura più impermeabile.
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Cure e attenzione ai dettagli che rendono la scarpa ancor più preziosa e assolutamente inconfondibile, come la suola in gomma Vibram Gumlite poggiata su un sottile strato di cuoio che avrebbe fatto comodo persino a Jesse, negli anni Trenta.

Una creatura fatta di pelle, lacci e gomma per competere su tutte le superfici, ispirata anche da quello che lo storyteller italiano per eccellenza Federico Buffa ha raccontato su una delle figure più simboliche del Novecento, tanto da portarlo a teatro.
Perchè, tra le tante cose “ha mostrato che un atleta come lui non era mai nato.” 

A James Cleveland Owens, per tutti Jesse, abbiamo detto grazie così.

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