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Friday, 22 March 2019 12:42

“MUNDIAL” ED I CAMPIONI DEL 1982

«STAVAMO vincendo 2-1. Ad un certo punto si fece male Collovati, lo stopper. In panchina il CT Bearzot si girò verso di me e disse: ragazzo, tocca a te…».
 
E’ lo Zio Bergomi che parla. In una intervista del 2017, racconta alcuni flashback della gloriosa nazionale italiana del 1982, lui è il più giovane giocatore azzurro a prendere parte ad un campionato mondiale. Non uno qualunque, un campionato in cui, a credere a quella squadra inizialmente, erano solo i giocatori e l’ allenatore.
11 luglio 1982, Stadio Santiago Bernabéu di Madrid, l’Italia batteva la Germania Ovest per tre reti a uno: Rossi, Tardelli e Altobelli.
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“Campioni del mondo!!!” continuava a scandire euforicamente Nando Martellini, mentre il Presidente della Repubblica Sandro Pertini si alzava dalla tribuna esultando senza freni. Immagini che hanno scandito i tempi della nostra vita.
Come quella sull’aereo di ritorno che riportava gli azzurri a casa, prima del bagno di folla in un’Italia che faceva festa da giorni: la storica partita a carte tra Zoff-Pertini  e Causio-Bearzot. E chi se la dimentica….
Non fu una vittoria, fu “La Vittoria”, rinascita e riscatto di una Nazione che stava uscendo da uno dei periodi più bui della storia della Repubblica, dagli anni di piombo e delle stragi.
I nostri stilisti si sono ispirati a quei momenti, vissuti con occhi da ragazzini, per creare la Mundial, una sneaker che ricorda le scarpe sportive che i Campioni del Mondo indossavano nel tempo libero, le hanno rese contemporanee, vivaci, creando un perfetto mix tra casual ed elegante. Il resto lo fanno i dettagli, le pelli, il colore tamponato a mano, la finitura. Insomma, sono sneakers degne dei Campioni del Mondo!
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Monday, 12 November 2018 19:27

SNEAKERS JESSE, HEROES FROM THE PAST #2: MEAZZA

 

Peppino Meazza, il nostro primo fenomeno

Grandi giocatori esistevano già al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario.
[Gianni Brera]

Che fenomeno che era Peppino.
Quando siamo entrati nello storico Museo di San Siro, le reliquie più scintillanti ci sono da subito sembrate essere le sue scarpette taglie 40.
I ricordi sono scivolati rapidamente indietro di quasi un secolo, al decennio dei ’30, alla nostalgia.
Naturalmente alla dittatura – quella era – e ai primi due Mondiali vinti dall’Italia.

Quindi, naturalmente, a Peppino Meazza. Il più forte di sempre, oh sì.

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Piedini, dicevano, e non piedoni, per un giocatore unico, ovviamente all’avanguardia rispetto ai propri tempi, come tutti i fenomeni.
Classe, qualità, fascino. Sex appeal.
Peppino non seduceva solo le folte schiere di milanesi innamorate del suo taglio da Dongiovanni con tanto di brillantina.
Ma soprattutto avversari, difensori e portieri, tanto da diventare il miglior marcatore di sempre dell’Inter, la sua Inter. La mitica Ambrosiana. Sì anche oggi, nel 2018.

Leggiadro su quei piedi, seminava panico, terrore e boati di stupore con dei dribbling fulminei, con il solo obiettivo di portare la palla fin dentro la porta.
Amava lo show, Giuseppe Meazza, dentro e fuori dal campo.
Un modo per esorcizzare le proprie umili origini, come disse una volta come meglio non si sarebbe potuto l’altrettanto mitico Gianni Brera: “Lucido di brillantina, gli occhi assonnati, il sorriso bullo, l’automobile (che ben pochi avevano), i quattrini facili, i balli, il gioco, le veglie presso le Maisons Tellier di mezzo mondo, il trionfante Peppin vendicava le angustie degli umili antenati e di tutti noi poveracci suoi pari, passando per un genio al quale era consentita ogni stravaganza.”

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Campione del Mondo con la nostra nazionale nel 1934 e nel 1938, avrebbe pianto l’addio all’Inter per approdare al Milan (oh che errore!) e poi alla Juventus, le arcirivali.
Il Purgatorio a Varese e Bergamo – una sorta di Re del Nord-Ovest italico – e poi, finalmente, il ritorno finale all’FC Internazionale, al nerazzurro col quale coprire con onore la propria “bara” calcistica, prima di passare dall’altra parte della barricata come allenatore e poi, addirittura, come giornalista.

Andatosene per un male incurabile il 21 Agosto del 1979, fu sempre il migliore anche se sempre il più piccolo fin da quando giocava “sui campi spelacchiati di Porta Vittoria, il suo quartiere” a piedi nudi tra sabbia, cemento e polvere, in attesa che le sue scarpette – omaggiate qui dalle nostre sneakers – venissero issate a simbolo del suo calcio funambolico e creativo.

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Solo una cosa è sempre stata indigesta al nome che oggi adorna La Scala del calcio, San Siro: il soprannome universale di “Balilla” in piena era fascista, senza che avesse alcun legame ne appartenenza con quelle ideologie che stavano trascinando di forza la sua Italia in guerra, alla rovina.
Fu un compagno di squadra più vecchio, Leopoldo Conti, ad appiopparglielo al suo esordio a 17 anni con la prima squadra: “ora facciamo giocare anche i balilla!” disse scocciato, venendo smentito 90 minuti dopo, con una tripletta sensazionale con cui Meazza aprì e chiuse velocemente qualsiasi tipo di dibattito futuro.

Ad allenarlo in quella partita Arpad Weisz, l’allenatore ungherese di origini ebraiche che aveva creduto in Peppin e sarebbe poi morto durante l’Olocausto, ad Auschwitz.

Un grazie sentito, ad entrambi.

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