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Wednesday, 10 April 2019 10:35

FABI MEETS PORADA

Tutto nasce dall’ amore per la tradizione e le materie prime. 
Il legno massello che nel 1948 in Brianza ispirò Luigi Allievi e la passione per l’ artigianalità calzaturiera che le Marche respirano da sempre ad ispirare Elisio ed Enrico Fabi nel 1965.
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Due aziende famigliari che fanno del Made in Italy, della qualità e della professionalità le basi di una storia che le successive generazioni portano avanti con orgoglio e dedizione.
La Milano design Week 2019 è la seconda grande occasione di incontro per queste due realtà.
Fabi da vita ad una limited edition ispirata ai codici cromatici e stilistici della collezione Porada presentata al Salone del Mobile.
Sneakers uomo donna in edizione limitata ambientate nello Showroom Porada di via Borgospesso 18 a Milano che saranno presto disponibili sulla nuova piattaforma online: www.fabiboutique.com
Dopo la premiazione del Porada International Design Award 2019, concorso internazionale di design che premia le idee innovative tramite la progettazione e la valorizzazione di arredi in legno massello, Fabi e Porada festeggeranno la loro collaborazione con un evento Fuorisalone Giovedì 11 aprile alle 18 in via Borgospesso a Milano.
Monday, 11 February 2019 18:56

Fabi at “The Micam”

FABI SPA a Milano per un’altra edizione di “the MICAM” con i marchi Fabi ( Pav. 1 Stand M21 M29 – N22 N30 ).

L’idea portante della collezione FW1920 nasce attorno a prodotti dalla vestibilità trasversale, costruiti su nuove forme con volumi e fondi importanti, sfruttando il know how del brevetto Flex Goodyear 102, il top di gamma per l’Azienda fondata da Elisio ed Enrico Fabi a Montegranaro nel novembre del 1965.

“Il concetto di “trasversale” mi piace in senso assoluto – spiega Emanuele Fabi, Brand Manager Fabi Uomo – e poi bisogna fare i conti con tendenze e mercati che da qualche anno premiano più il mondo sportivo di quello classico. Ho pensato così a una collezione che strizza l’occhio agli “ibridi”, il classico che tende allo sport e viceversa, quindi a prodotti day to night che indossi al mattino e non vorresti cambiare mai. Il minimo comune denominatore sta nel nostro meglio del meglio: la costruzione Flex Goodyear 102 anche valorizza una sneaker come la Jesse, a Pitti nelle versione “Jesse 2” più aperta ed elegante”.

La collezione FW1920 sviluppa anche i concetti dell’urban trekking, con polacchini in pregiati vitelli arricchiti da fodere in lana, e punta come sempre sull’altissima qualità dei materiali e sull’arte delle colorazioni a mano: cervi da decolorare e croste in inglesi da invecchiare con pazienza e amore per il prodotto spiegano al meglio una collezione figlia di passato e presente, heritage e innovazione.

Concetti in linea per Fabi Donna, come spiega l’Art Director Francesco D’Autilio:

“Nella nostra ampia collezione troverete trasversalità nei materiali, nello stile, negli accessori e sebbene ci si sia confrontati con stili differenti, abbiamo cercato un legame, una coerenza, dettata dalla voglia di rivisitare i modelli iconici della tradizione Fabi in chiave moderna, dinamica, che anche qui strizza l’ occhio agli “ibridi”.

Quindi forme tendenzialmente maschili ma con riporti ed accessori che donano femminilità e raffinatezza.”

La collezione FW/1920 rivisita inoltre lo stivale texano, che si fa più grintoso e fashion anche sul tacco stiletto. Poi riporti animalier, tessuti laminati e fondi di volume che ci riportano agli anni 90’ per sneakers, stivali e stivaletti urban trekking. Tanti mocassini, oltre a scarpe inglesi senza lacci danno carattere e personalità arricchendosi con accessori preziosi che da sempre contraddistinguono le Fabi.

Wednesday, 02 August 2017 23:50

THE FABI ESSENCES DIARIES #34

“Credevamo di cambiare il mondo, invece è stato il mondo a cambiare noi.”

02 Agosto 2017, un Mercoledì dal sapore amarcord

Suite #34 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Ore 18.50.
Sono seduta sul ciglio del letto.
In mano ho una busta da lettere senza nessun indirizzo. Nessun mittente.
Solo un “A Silvia” scritto a mano. Un bel corsivo, elegante.
La apro e il cuore mi balza in gola.
Un profumo inconfondibile ha fatto capolino dai bordi ora aperti.
Il legno umido, l’uva, il sole a seccare la terra.
Dalla busta cade un ciondolo, metà luna e metà stella.
Sopraffatta dai ricordi mi lascio cadere sul cuscino, volando.
Il liceo artistico. Le colonne di San Lorenzo. L’estate dell’89. La felicità.
“Radio RoofTop Bar. Ore 22. A dopo.” È l’unica cosa che c’è scritta dentro.

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Ore 19.
Continuo a vagare per la stanza. Volevo la #34 ma è già occupata.
Sono nervoso. Succede solo quando non riesco a controllare le emozioni.
La mia mano destra sta sventolando una busta che recita “A Simone”. La calligrafia mi è famigliare.
Ma non riesco a capire chi potrebbe averla scritta.

I primi secondi dopo averla aperta il mondo ha smesso di girare.
Dalla busta sono usciti aromi della mia – della nostra! – adolescenza.
Agrumi. Rosmarino. Del vecchio Gin. E una piccola chiave.
Chiunque sia, mi conosce da tanto tempo.
Da quando andavamo alla “Sacrestia”, locale di culto sui Navigli. Dai tempi delle scorribande sulla balera. Da quel 1989 storico per tutti.
Un foglio quasi completamente bianco m’invita ad andare al Radio RoofTop Bar alle 22.
Sono indeciso, non sempre è un bene resuscitare il Passato.

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Ore 19.10.
“A Federico”. Nient’altro. Ma così non vale!
Eddalla qualche informazione no?! E invece no.
Solo uno stupido appuntamento al Radio RoofTop Bar.
Perchè mi tremano le mani?
È solo un giochetto. Qualcuno che mi prende in giro. Non solo la frase che ripetevo come un mantra quando ero giovane. No. Anche il profumo di quell’estate. Il ginepro. Il muschio sui muretti.
Quel bacio in Via Brera. La chitarra di Simo. I canti e i balli e l’amore perduto.
“Quando si rischia la vita con qualcuno ci rimani sempre attaccato come se il pericolo non fosse passato mai.”
Devo uscire da questa stanza. Che ore sono??

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È stato Stefano a chiedermi di distribuire le buste.
Si è presentato oggi pomeriggio al Radio RoofTop Bar con una piccola boccetta di profumo artigianale.
Si è presentato solo con il nome e mi ha detto con cortesia di mettere un po’ di fragranza in ciascuna lettera.
Di richiuderle e consegnarle in tre suite precise.

Poi mi ha chiesto un piacere strano. Usare il profumo per creare un cocktail che lo ricordasse.
Sarebbe servito per l’incontro di questa sera.
“Un incontro dal sapore amarcord” mi ha detto.
Ho cercato di fare del mio meglio, ho aggiunto delle erbe aromatiche, del succo di limone. Del buon Porto. E ora sono quasi le dieci.

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Li vedo salire, uno dopo l’altro.
Eccoli incontrarsi, basiti ed increduli, sulla terrazza con vista su Porta Nuova. Le stelle alte in cielo.
Simone, un uomo sovrappeso, alto, dallo sguardo intelligente e la barba incolta, dopo pochi secondi di titubanza abbraccia forte Federico. Sportivo, in camicia e già sudatissimo.
Li osservo da lontano, Stefano sta per arrivare anche se loro ancora non lo sanno.

Silvia è un po’ imbarazzata, tenera ed esile nel suo impaccio. Ma l’incrocio di sguardi con Federico racconta tante cose che solo loro sanno.
E l’abbraccio che li unisce è lungo, sussurrato, dolce.
Quello con Simone è diverso, ma altrettanto emozionante. Stretto, vigoroso, la testa sulla spalla. Gli occhi chiusi e le labbra sorridenti.
Vincono i gesti, più che le parole. Ci si bacia, ci si abbraccia, ci si sfiora.
Poi è il turno di Stefano.

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“Ben ritrovati, amici miei!”
I tre si girano all’unisono, gli occhi sgranati dalla sorpresa e dalla gioia.
Stefano mi aveva preparato a tutto, parlandomi della loro grande amicizia. Delle diverse strade prese con l’università. Di un’estate indimenticabile. E del profumo dei loro ricordi.
Mi avvicino con quattro cocktails gemelli.
Bicchieri di vetro forti, particolari, pieni di ghiaccio e degli ingredienti che li avevano uniti.
Stefano osserva il suo drink, abbracciando Federico.
“Mi mancavate, sapete?”
Silvia ride e piange. Simone inizia a farle domande a raffica. Federico ascolta e sorride.

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Stefano li lascia sfogare, si lancia in aneddoti sepolti dalle sabbie del Tempo scatenando la girandola sfavillante, malinconica e soave delle loro memorie collettive. Dell’estate magica dell’89.
Poi alza in alto il bicchiere.
“Ma adesso a Noi, come si diceva ai bei tempi!”

A Voi, cari amici.
Sperando che il #34 vi aiuti a rispondere alla Domanda che da sempre mi tormenta: “Vincerà l’amicizia o l’amore? Sceglieremo di essere onesti o felici?”
Fatemi sapere…e intanto buonanotte e buona fortuna.
Marco Dognini, bartender.

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“Fabi Essence #34 – AMARCORD” narrated by Michele Pettene

Quotes from “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola

 

Friday, 28 July 2017 00:40

THE FABI ESSENCES DIARIES #43

“Uno straordinario concorso di circostanze mi portava a vivere più vite parallele, e a incontrare persone molto diverse tra loro.”

27 Luglio 2017, un Giovedì sorprendente

Suite #43 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Mi bisbigliano “Suite Numero 43. Ospiti speciali”. Un brivido lungo tutta la schiena.
Solitamente non accade che io dubiti del mio lavoro. Sono piuttosto sicuro dei miei cocktails, anche di quelli che preparo ad hoc per i nostri clienti più sofisticati.
Ma la #43 fa storia a sé.
È come un appuntamento al buio.
Con la lieve differenza che una ragazza alla peggio non la rivedi più, mentre se qualcosa và storto nella #43…beh…sei semplicemente fottuto. Come dire, un minimo di pressione la si avverte.
Il problema principale?
La Numero 43 ha SEMPRE “ospiti speciali”.

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Scendo con la mia personalissima “valigetta degli attrezzi” dal mio laboratorio artistico, il celeberrimo Radio RoofTop Bar al decimo piano, e mi dirigo in fondo al primo piano del Me Milan Il Duca.
Il livello lo conosco a memoria: fuori dall’ascensore mi accoglie una sedia rossa – un modello d’arte contemporanea  del designer Aldo Rossi – silenziosa e solenne.
Sulla sinistra, un quadro ispirato a Parigi.
Poi si gira a destra, fino in fondo al corridoio.
Non so chi mi aspetti dietro l’ingresso della #43, ma il primo indizio riesco a raccoglierlo prima di bussare.

Dalla suite sembra fuoriuscire un vago profumo, un tenue contrasto di fiori, piante esotiche, frutta.
Anche del fumo, sigari cubani probabilmente.
Attendo qualche istante prima di bussare: le voci dall’interno, maschili e profonde, stanno discutendo animatamente.
Toc toc. “Sono Marco, il bartender…”

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L’istante in cui si apre la porta è quello in cui percepisco che quelli sono clienti più “speciali” degli altri.
Il fumo è talmente denso che fatico a riconoscere i lineamenti di chi mi ha aperto e mi ha stretto frettolosamente la mano.
Ma è un fumo dal buon sapore. Tra le narici mi si incuneano odori di pompelmo e geranio, onnipresenti.
Poso le mie cose su un angolo del tavolo e osservo con la coda dell’occhio la situazione.

Un uomo alto, dai capelli radi e bianchi, magro e nobile nel portamento, sta fumando come una ciminiera.
Vicino al tavolo da biliardo confabula stretto con quello che sembra essere una sorta di collega, o partner d’affari.
Intercetto solo alcune parole. “Tempo”. “Petrolio”. “Discrezione”. “Concorrenza”. “Borsa”.
Qualcosa di “grosso” sta succedendo, anche se non ne intuisco la vera entità.
L’aura della Numero 43, ancora una volta.
Non ci sono altre “gemelle” della stessa grandezza, lusso, fascino. Imprevedibilità.

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Parlare il meno possibile. Fare finta di essere sordi. L’unica informazione che mi è stata data è “Alta finanza”, oltre ad un certo qual grado di segretezza della cosa.
Mentre tento di astrarmi da quella conversazione di cui dovrei sapere il meno possibile l’altro personaggio, un po’ sovrappeso e con un gessato nero a strisce bianche, mi rivolge bruscamente la parola. “Due cocktail grazie. Uguali per entrambi. Entrambi vincenti.”

Incrocio lo sguardo dei due tra le nuvole di fumo. Capisco che non sono colleghi.
Stanno trattando. Ora ne avverto la tensione. Solo quel profumo continua a trasmettermi una calma surreale.
Mi concentro su quegli odori così inusuali per la #43, e inizio. Vodka. Spremuta fresca di pompelmo. Uno dei miei frutti orientali preferiti, lo yuzu. Poi mi lascio ispirare dall’atmosfera “calda”, e inserisco nella ricetta improvvisata anche del miele e del pepe nero.
Ora i due clienti si sono seduti sul divano, continuando a parlottare fitti, quasi irritati. Il contrasto con le fotografie delle modelle sopra le loro teste mi fa sorridere.
“Non si dovrebbe mai desiderare troppo” – sento dire al più vecchio – “Perché si rischia sempre di ottenere quel che si desidera.”

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Shakero il tutto, confezionando perbene i due bicchieri – alti e stretti – che rifinisco con degli spruzzi di soda e degli spicchi di arancia. Cerco di farli il più identici possibili, stessa gradazione di ingredienti, stesso colore. Stesso profumo.
A preparativi ultimati sollevo il vassoio e chiedo con rispetto se posso avvicinarmi.
Il più vecchio annuisce, facendomi segno con la mano.
Hanno interrotto il dialogo, sembrano stremati e attenti solo ai miei movimenti, come due vecchi felini ancora a caccia.
“Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle, le cose belle non succedono.”

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Sollevati da quella pausa afferrano in contemporanea i drink, ma non brindano, portandoli direttamente alle labbra.
Non si guardano.
Solo dopo due lunghi e silenziosi sorsi tornano a rivolgersi la parola.
I toni sembrano più distesi, i movimenti più amichevoli. Quasi rilassati.
Il sigaro dell’uomo in gessato si sta lentamente consumando nel posacenere.
Mi congedano, ringraziandomi.
Sembrano sorridere, è la prima volta da quando sono entrato che non li scorgo con le sopracciglia aggrottate.

Li ringrazio a mia volta, salutandoli.
Raccolgo le mie cose, provando invano a capire da dove arrivi quel profumo.
Esco dalla Numero 43, l’adrenalina che pompa nelle mie vene e il cuore dai battiti irregolari.
Mi lascio alle spalle la porta, ma non resisto al richiamo ancestrale della curiosità.
Prima di richiuderla del tutto, lancio un’ultima occhiata dalla fessura.
Stanno ancora sorridendo, la mano destra tesa l’uno verso l’altro.
Non saprò mai i loro nomi.
Ma forse loro ricorderanno il mio cocktail #43.
“Ogni giorno è un nuovo giorno.”

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“Fabi Essence #43 – MIND AND SPIRIT” narrated by Michele Pettene

Quotes from Ernest Hemingway

Friday, 21 July 2017 10:09

THE FABI ESSENCES DIARIES #65

“Noi prendiamo una manciata di sabbia dal panorama infinito delle percezioni, e la chiamiamo mondo.”

20 Luglio 2017, un Giovedì di meditazioni

Suite #65 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Fino a qualche anno fa prendevo in giro chi mi parlava di “ritrovare se stessa”.
Cazzate.
Non avevo tempo da perdere dietro a certe filosofie.
Viaggiavo alla velocità della luce, sulla rampa di lancio di una carriera che avevo sempre sognato.
Rapida, come un felino notturno.
Passi tanto raffinati quanto spietati, decisi.
Ma ero incompleta. La mia imperfezione quotidiana mi irritava.
Mi mascheravo, a me stessa e al resto del mondo, alimentando la mia irrequietezza.
Volevo la luna, e la volevo subito.
Poi, un pomeriggio di Primavera, mentre camminavo tra le stradine milanesi, ho fatto un incontro.
Un aroma di Pesca e Peonia. Pungente, particolare, magnetico.
E ho deciso di seguirlo.

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Un cancello. A dieci minuti a piedi dal Naviglio Grande, sotto il parco Baden-Powell.
Dietro, qualcosa me lo diceva, stava l’origine di quel profumo.
Ho suonato, e il cancello si è aperto.
È così che sono entrata per la prima volta nel Monastero Zen “Il Cerchio”: il mio mondo non sarebbe stato più lo stesso.
Ero lì, ancora sbigottita nell’aver trovato un piccolo tempio buddhista in una via secondaria di Milano, che non mi sono accorta di quel piccolo pesco, l’origine di Tutto.
Da quel fortunato giorno, e in un breve spazio temporale, ho appreso più cose su me stessa di quante pensavo di averne capite in tutta la mia vita precedente.
“Voleva liberarsi della sua propria immagine, perché il fantasma era ciò che lei era, e Lei voleva essere libera dai vincoli della sua stessa identità.”

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“Continuiamo ad attraversare, inosservati, momenti della vita di altra gente.”
Questa, e tante altre frasi all’interno di meditazioni guidate, spalancarono le porte della percezione alla sottoscritta, una che amava definirsi con discreta arroganza “l’imprenditrice del proprio successo”.
Divenne presto una droga, la più positiva possibile.
Il Tempio Buddhista Lankarama, vicino a Viale dei Missaglia, e le conversazioni con monaci e persone di una serenità semplicemente superiore. Il Centro di Studi Tibetani “Mandala”, in Piazzale Siena, tra lezioni sull’autoconsapevolezza e feste tradizionali e corsi di yoga. Letture, proiezioni, canti. Cene condivise in ristoranti thailandesi, come quello di Porta Genova, “Bussakaram”. Viaggi in Giappone, India e Tibet.
Più approfondivo e più volevo ampliare la mia conoscenza.
E in tutti i luoghi dove andavo il solito, inconfondibile ed invisibile filo comune: il profumo di pesche e peonie.

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Ho cercato gradualmente di far entrare questa dolce esplosione di tranquillità interiore nel mio cuore.
Ci sono riuscita? Lo credevo, ma la frenetica routine giornaliera è una bella tigre da addomesticare, e spesso è riuscita ad avere il sopravvento.
Che è un po’ la ragione per cui mi sono rifugiata al ME Milan Il Duca, in questi giorni.
Per ritrovare una pace che avevo scorto, ma che poi come la sabbia mi è di nuovo sfuggita tra le dita.
Non so il perchè, ma le sensazioni di questo posto, di questa camera, sono sempre state diverse, amplificate.
Credo sia la miscela di colori e design, oltre che l’estrema intimità e rispetto degli spazi che si percepisce. O forse è lo stesso aroma di quel giorno: lo sento ad ogni angolo, terrazza, corridoio.
Non è solo un profumo, è un’idea in cui mi rifugio, in momenti come questo.

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Salgo al Radio RoofTop Bar dell’hotel, una delle mie attività preferite.
Qui è difficile non incontrare Madama Serenità, così sfuggente ultimamente. Basta sedersi su uno dei divanetti, lasciar scorrere lo sguardo su tutta Milano e spingersi con la mente ancora più in là, cullati da musica e lievi, tiepidi folate portate dal divìn Eolo.
Sospiro, e nel farlo ritorno a contatto con la “mia” fragranza. Sembra stranamente molto vicina.

Ne capisco il motivo pochi secondi dopo. Marco Dognini, il premuroso bartender, mi ha ascoltato paziente per tutto il tempo, sorridendo, porgendomi domande, annuendo.
E nel frattempo si è messo al lavoro, con la promessa di farmi un cocktail cucito su misura per le mie corde vitali che da tanto stanno vibrando, di nuovo inquiete.
Lo chiama “Numero 65”, come la mia suite. E me lo porge con garbo, appoggiando delicatamente sul flute un fiorellino viola.

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Lo porto alle labbra, bagnandomi bocca e lingua con un mix sorprendente di champagne e vodka infusa al the di gelsomino. Il profumo della pesca è intenso, quello di alcune spezie orientali pure.
“Com’è?” mi chiede Marco tra l’incuriosito e il divertito.
Mi prendo qualche secondo prima di rispondergli.
Quel sapore, quell’infusione delicata che sta conquistando il mio stomaco…possibile sia proprio quel richiamo che cercavo da tempo?
“Perfetto…” riesco a malapena rispondere.
Mi porto verso la balaustra, perdendomi nell’infinito delle luci notturne.
Ritrovare se stessa grazie ad un cocktail.
“Alcune cose ci sfuggono perché sono così impercettibili che le trascuriamo.”
Chi l’avrebbe mai detto?

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“Fabi Essence #65 – FAR AND WIDE” narrated by Michele Pettene

Quotes from “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”

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