THE FABI ESSENCES DIARIES – #68


“Ma sognare è un fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità.”

29 Giugno 2017, un Giovedì di nuvole

Suite #68 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Se mi chiedessero il profumo della passione non avrei esitazioni: la pura, infinita dolcezza dei frutti tropicali.
Il sapore intenso della polpa della maracuja.
Come faccio ad esserne così certo?
Beh, cari amici, quando fate un lavoro come il mio, le passioni s’imparano a riconoscere nell’aria, come invisibili ali d’angelo.
Tutte diverse, eppure tutte accarezzate dalla Grazia.
E io me le ricordo tutte. Nessuna esclusa.

È facile riconoscerle.
Si sprigionano quando i corpi, i cuori che le generano sono finalmente lasciati liberi di esprimersi, di essere se stessi.
Come tra i corridoi fatati dell’Hotel Me Il Duca Milano dove mi trovo in questi giorni, ed i cui illustri ospiti sono spogli di quelle corazze obbligate dall’esterno ostile.
In questi ambienti così intimi, sofisticati, eleganti è impossibile incontrare ospiti molesti.

È tra queste atmosfere che ci si può lasciar andare, svelando un’essenza negata al pubblico avido là fuori.
Ed io, acuto osservatore della variegata natura umana, non aspetto altro, facendomi trovare casualmente puntuale nei salotti dell’hotel.
Mi ci tuffo, in quelle improvvise confessioni involontarie. Per capire caratteri, comprendere intelligenze, svelare bluff sbruffoni.
Per poi narrarli, ça va sans dire[strizzatina d'occhio]

Non vi svelerò il mio nome completo, ma diciamo che tutti mi chiamano Gianni Brera. Non Quel Gianni, ma non del tutto differente.
Sono un orgoglioso figlio del Po, delle rive padane e delle sue terre, dei suoi boschi. E sono un giornalista, forse uno scrittore.
Oppure, come diceva un’amica poco tempo fa, sono un semplice cantastorie: di speranze, sogni e delusioni.
Le stesse che proprio in questi momenti mi stanno torturando.
Qui, nella numero 68, stanza divina e solitaria, davanti all’amata ed inseparabile ”Lettera 62″, la mia piccola macchina da scrivere rosso fuoco.

Fatico – inusuale per me – a battere i tasti con gran ritmo. L’intento, forse troppo ambizioso, mi sta lentamente abbattendo.
Raccontare le storie di sport, passioni, aspirazioni e cadute più affascinanti e misteriose che abbia mai incrociato tra queste mura.
Un’impresa titanica, e un’ispirazione sempre più lieve.

Ho deciso, meglio prender una boccata d’aria, chissà che questa Milano stranamente quieta non mi tenda una mano.

Salgo sull’ascensore, facendomi trascinare fino al decimo piano e al Radio Rooftop Milan. Le energie completamente risucchiate dal tentativo di scrivere qualcosa di decente.
La vista da quell’altezza e da quella posizione sono paradisiache, anche a notte inoltrata.
Tra me e me penso che se esistesse un posto dove ritrovare l’ispirazione perduta, sarebbe questo.

Osservo la mia città dall’alto. Ripercorro con il pensiero e i miei sogni ad occhi aperti i posti e le persone. I ricordi più memorabili, gli incontri indimenticabili.
Sono solo sulla terrazza, i gomiti appoggiati al bordo.
I rumori del traffico mi arrivano come da un’altra galassia, o come diceva il grande Carlo “il flusso continuo dei taxi, sul viale maggiore, pareva la vana furia degli uomini, che ad ogni costo volesse arrivare a una fine.”

Il silenzio mi circonda, provando a cullarmi in sintonia con la colonna sonora scelta dal dj: sequenze lunghe, instrumental, dai suoni naturali.
Una lieve brezza trasporta il mio flusso di coscienza tra i grattacieli di Gae Aulenti e i tetti dei Navigli, facendomi ripercorrere locali celebri e bisbiglii che molti avrebbero pagato oro per udirli. Portandomi nelle piccole vie davanti all’Arco della Pace, dove si programmava la conquista del (proprio) mondo.
Lì, osservati a vista dalle “Quattro Vittorie a cavallo” sulla cima trionfale del monumento, ci si sentiva allo stesso tempo minuscoli e giganteschi.
Pronti per la Gloria eterna o inadeguati, incapaci di afferrarla.

D’un tratto sento toccarmi la spalla.
La prima cosa che il mio sguardo incontra è uno splendido calice. Un cocktail sfumato in giallo. Un piccolo fiore nel mezzo. Delle alghe marine da contorno.
Marco Dognini, il bartender del Radio Rooftop Milan, mi dice che era da tempo che mi stava osservando.
Afferma che il cocktail #68 è quello che fa per me.
Affabile ma sicuro di sé, con un look curato dalla punta delle scarpe in pelle alla camicia, Marco ispira fiducia.
La serata giusta per incontrare un tipo così.

Mi apro, senza filtri, raccontando del mio blocco.
Bevo, fondendo i miei problemi in quei sapori esotici e in quel retrogusto particolare, di zafferano e mirto sardo.
Il rum mi riscalda la testa, mentre il dialogo sale di tono.
Marco mi inonda di aneddoti, personaggi, scene vissute da testimone oculare. Invisibile ed imparziale, da dietro quel bancone.

Parliamo per ore, e mi sento come rinascere, tornando a respirare dopo essere stato per un tempo indefinito in apnea.
Le sue storie iniziano a diventare mie: vittorie ed insuccessi, amicizie e confidenze.
Calciatori famosi, artisti, cantanti, soubrette dell’ultima ora. Fallimenti, aspettative, percorsi.
Tutto alla velocità della luce, re e regine del carpe diem, dell’istante più infuocato dei tanti vissuti dal Radio Rooftop Milan.

Ringrazio Marco, sembra sfinito pure lui. Ci congediamo con un abbraccio prolungato.

Torno solo, ma le idee hanno ripreso a scorrere: ora so da dove ripartire, che cosa seguire.
Sì, è tornato a farsi sentire. Vivace, pungente, inebriante.
Il profumo della passione.
Una notte come un’altra, al Me Il Duca Milano.
Ma potrebbe essere stata quella decisiva.

“Fabi Essence #68 – HOPES AND DREAMS” narrated by Michele Pettene
Quotes from Carlo Emilio Gadda

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