THE FABI ESSENCES DIARIES #65


Fino a qualche anno fa prendevo in giro chi mi parlava di “ritrovare se stessa”.
Cazzate.
Non avevo tempo da perdere dietro a certe filosofie.
Viaggiavo alla velocità della luce, sulla rampa di lancio di una carriera che avevo sempre sognato.
Rapida, come un felino notturno.
Passi tanto raffinati quanto spietati, decisi.
Ma ero incompleta. La mia imperfezione quotidiana mi irritava.
Mi mascheravo, a me stessa e al resto del mondo, alimentando la mia irrequietezza.
Volevo la luna, e la volevo subito.
Poi, un pomeriggio di Primavera, mentre camminavo tra le stradine milanesi, ho fatto un incontro.
Un aroma di Pesca e Peonia. Pungente, particolare, magnetico.
E ho deciso di seguirlo.
Un cancello. A dieci minuti a piedi dal Naviglio Grande, sotto il parco Baden-Powell.
Dietro, qualcosa me lo diceva, stava l’origine di quel profumo.
Ho suonato, e il cancello si è aperto.
È così che sono entrata per la prima volta nel Monastero Zen “Il Cerchio”: il mio mondo non sarebbe stato più lo stesso.
Ero lì, ancora sbigottita nell’aver trovato un piccolo tempio buddhista in una via secondaria di Milano, che non mi sono accorta di quel piccolo pesco, l’origine di Tutto.
Da quel fortunato giorno, e in un breve spazio temporale, ho appreso più cose su me stessa di quante pensavo di averne capite in tutta la mia vita precedente.
“Voleva liberarsi della sua propria immagine, perché il fantasma era ciò che lei era, e Lei voleva essere libera dai vincoli della sua stessa identità.”
“Continuiamo ad attraversare, inosservati, momenti della vita di altra gente.”
Questa, e tante altre frasi all’interno di meditazioni guidate, spalancarono le porte della percezione alla sottoscritta, una che amava definirsi con discreta arroganza “l’imprenditrice del proprio successo”.
Divenne presto una droga, la più positiva possibile.
Il Tempio Buddhista Lankarama, vicino a Viale dei Missaglia, e le conversazioni con monaci e persone di una serenità semplicemente superiore. Il Centro di Studi Tibetani “Mandala”, in Piazzale Siena, tra lezioni sull’autoconsapevolezza e feste tradizionali e corsi di yoga. Letture, proiezioni, canti. Cene condivise in ristoranti thailandesi, come quello di Porta Genova, “Bussakaram”. Viaggi in Giappone, India e Tibet.
Più approfondivo e più volevo ampliare la mia conoscenza.
E in tutti i luoghi dove andavo il solito, inconfondibile ed invisibile filo comune: il profumo di pesche e peonie.
Ho cercato gradualmente di far entrare questa dolce esplosione di tranquillità interiore nel mio cuore.
Ci sono riuscita? Lo credevo, ma la frenetica routine giornaliera è una bella tigre da addomesticare, e spesso è riuscita ad avere il sopravvento.
Che è un po’ la ragione per cui mi sono rifugiata al ME Milan Il Duca, in questi giorni.
Per ritrovare una pace che avevo scorto, ma che poi come la sabbia mi è di nuovo sfuggita tra le dita.
Non so il perchè, ma le sensazioni di questo posto, di questa camera, sono sempre state diverse, amplificate.
Credo sia la miscela di colori e design, oltre che l’estrema intimità e rispetto degli spazi che si percepisce. O forse è lo stesso aroma di quel giorno: lo sento ad ogni angolo, terrazza, corridoio.
Non è solo un profumo, è un’idea in cui mi rifugio, in momenti come questo.
Salgo al Radio RoofTop Bar dell’hotel, una delle mie attività preferite.
Qui è difficile non incontrare Madama Serenità, così sfuggente ultimamente. Basta sedersi su uno dei divanetti, lasciar scorrere lo sguardo su tutta Milano e spingersi con la mente ancora più in là, cullati da musica e lievi, tiepidi folate portate dal divìn Eolo.
Sospiro, e nel farlo ritorno a contatto con la “mia” fragranza. Sembra stranamente molto vicina.

Ne capisco il motivo pochi secondi dopo. Marco Dognini, il premuroso bartender, mi ha ascoltato paziente per tutto il tempo, sorridendo, porgendomi domande, annuendo.
E nel frattempo si è messo al lavoro, con la promessa di farmi un cocktail cucito su misura per le mie corde vitali che da tanto stanno vibrando, di nuovo inquiete.
Lo chiama “Numero 65”, come la mia suite. E me lo porge con garbo, appoggiando delicatamente sul flute un fiorellino viola.
Lo porto alle labbra, bagnandomi bocca e lingua con un mix sorprendente di champagne e vodka infusa al the di gelsomino. Il profumo della pesca è intenso, quello di alcune spezie orientali pure.
“Com’è?” mi chiede Marco tra l’incuriosito e il divertito.
Mi prendo qualche secondo prima di rispondergli.
Quel sapore, quell’infusione delicata che sta conquistando il mio stomaco…possibile sia proprio quel richiamo che cercavo da tempo?
“Perfetto…” riesco a malapena rispondere.
Mi porto verso la balaustra, perdendomi nell’infinito delle luci notturne.
Ritrovare se stessa grazie ad un cocktail.
“Alcune cose ci sfuggono perché sono così impercettibili che le trascuriamo.”
Chi l’avrebbe mai detto?
“Fabi Essence #65 – FAR AND WIDE” narrated by Michele Pettene
Quotes from “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”

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